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Angelo Floramo. La gnot dai muartz


Ancora qualche giorno di attesa. E poi come ogni anno la notte dei morti tornerà a bussare agli stipiti delle nostre case, nel ciclo di quegli eterni ritorni che caratterizzano il tempo della festa, celebrato in tutto il suo mistero dalla donne e dagli uomini che sono nati e si sono formati nelle maglie della civiltà rurale. 
Si dischiuderanno pertanto le porte del tempo, diventeranno più labili i confini che separano i regni, quello degli spettri e degli spiriti da quell’altro, a noi più famigliare, intiepidito dal tepore del sole, introducendo quella magica sospensione che anima di prodigi le dodici notti (dodici è un numero simbolico molto forte), le stesse che congiungono il 31 di ottobre all’11 di novembre: la festa di San Martino, da sempre connessa alla conclusione dei lavori agricoli nelle campagne. 
Le genti dei nostri villaggi, dalla Carnia al Carso, passando per le campagne della Bassa e le vallate del Natisone, attendevano che in questo tempo, così carico di attesa e di meraviglia, i loro cari tornassero ad attraversare gli spazi domestici, quelli che appartenevano solamente ai vivi: la stalla, la cantina, il focolare della cucina, le camere da letto, le soffitte. 
Le anime, uscendo dai cancelli dei cimiteri delle pievi dove i loro corpi avevano ricevuto l’accoglienza della terra, proprio come accade con i semi, attraversavano di nuovo la quotidianità dei viventi, che si dimostravano pronti ad accoglierli secondo un precetto che affonda la sua inquietudine nei millenni che hanno preceduto l’avvento del Cristianesimo. 
I misteri Eleusini, Orfeo che evoca dagli Inferi la sua Euridice, Cerere che con fiaccole accese tenta di illuminare il ritorno della defunta Proserpina, ma anche Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, che rinasce dopo essere morto, rimbalzando nelle danze sfrenate delle baccanti; senza dover a tutti i costi evocare i rituali celtici di “Samhain”, o il culto di Freja, la dea della fertilità degli antecessori Longobardi o Goti, ugualmente propensi a credere, come tutti i popoli antichi, che la vita e la morte talvolta si abbracciano a passo di danza. E questo è il tempo in cui avviene. 
Accadrà ancora a Febbraio, poco prima che il gelo si sciolga e la terra richieda ancora alito di vita e umore fecondo. E allora rimarremo anche noi in attesa di una mano morta che bussa alla porta, come canta la filastrocca friulana: “Man man muarte”. 
Come accadeva quando eravamo bambini. Pronti a giurare che sì, qualche rumore, nella notte, lo avevamo sentito.

Autore: Angelo Floramo



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